Questa frase di Chomsky, grande linguista e docente al MIT, ci ha fatto riflettere su quanto tradurre e interpretare con parole semplici sia necessario per il nostro lavoro di traduttori e interpreti.
L’italiano è sicuramente portato per la sua impostazione culturale a parlare e scrivere in modo complesso. Questo diventa ancora più vero se si pensa a settori specifici come quello giuridico in cui vengono utilizzati termini ed espressioni lontane dal linguaggio comune e derivati da secoli di sedimentazione linguistica a partire dal latino.
Un’espressione come a titolo esemplificativo e non esaustivo, spesso ricorrente in atti e documenti giuridici, viene tradotta in inglese con un semplice including but not limited to, di gran lunga più immediato.
Spesso ci troviamo a dover tradurre in inglese testi italiani che necessitano prima di una interpretazione, perché usano forme troppo complesse oppure obsolete. E ciò non avviene solo per i testi legali dove è nota la complessità della microlingua italiana, rispetto a quella anglosassone, che pure ha i suoi registri da seguire, ma anche e soprattutto nell’area comunicazione, nell’arte e nella moda.
Nei testi di carattere artistico e letterario, ad esempio, un’espressione come “che ha la velleità di” viene facilmente risolta in inglese con “that aims to”. Dopo aver letto le due versioni dello stesso concetto, però, viene forse spontaneo chiederci se non sarebbe stato più giusto dire in italiano “che mira a” o “che aspira a”.
Ci chiediamo allora se sia un problema di target: forse gli esperti del settore hanno bisogno di parlare così e di sentire le cose dette in questo modo o forse invece chi scrive cerca solo di compiacere i tecnici che spera lo leggeranno. Ma non sarebbe più utile scrivere qualcosa che sia ampiamente comprensibile a tutti e da cui nessuno si senta escluso? È così che nascono le opportunità.