Parlare di lingue e globalizzazione oggi è un must.
Il mondo delle lingue è un mondo ricco e variegato, in continua evoluzione per definizione: le lingue cambiano, si evolvono, subiscono influssi da altre lingue e ne incorporano significati e stili di vita, si modificano internamente in base ai movimenti sociali e sono ricche di neologismi che nascono ora ancora più velocemente, sull’onda dei social network e dei gruppi giovanili.
Con la globalizzazione, in questi ultimi decenni abbiamo assistito a due fenomeni opposti in ambito linguistico. Da un lato c’è l’esigenza di avere una lingua comune, comprensibile a tutti, per poter comunicare più rapidamente a livello internazionale, vista la facilità dei contatti anche immediati grazie a Internet. Dall’altro però la maggiore capillarità delle zone raggiunte dal fenomeno internet ci permette di ampliare i nostri contatti e i nostri mercati anche a terre finora considerate troppo lontane, facendo sì che non basti più solo l’inglese come lingua veicolare. In alcune aree del mondo, quelle emergenti e i cui mercati sono particolarmente interessanti, si parlano lingue da sempre considerate difficili e catalogate come rare, ma che rare non sono affatto se si pensa che il cinese mandarino è parlato da oltre un miliardo di persone, l’hindi è la seconda lingua più parlata come madrelingua al mondo, dopo il cinese mandarino, il russo è parlato da 180 milioni di persone come madrelingua e da 120 milioni come seconda lingua (pensate ai paesi satelliti e all’ex-Unione Sovietica) e il portoghese brasiliano è utilizzato come lingua da circa 190 milioni di persone. Stiamo parlando dei Paesi BRIC, l’acronimo utilizzato per definire i Paesi emergenti che stanno velocemente facendo sentire la loro voce e non in inglese, ma nelle rispettive lingue madri.
E allora? Forse il tentativo delle istituzioni comunitarie di semplificare le attività di traduzione di documenti fissando in sole tre lingue (inglese, francese e tedesco) le lingue ufficiali per le attività politiche ed economiche dell’Unione Europea sembra un passo controcorrente o quanto meno anacronistico, legato a una mentalità che persegue ancora l’ideale della lingua comune veicolare senza rendersi conto che il mondo sta andando in un’altra direzione. I Paesi emergenti hanno culture di millenni alle spalle che, di certo, non possono essere annullate dall’esigenza di semplificazione che non tiene conto degli aspetti culturali sostanziali legati all’uso di una lingua e riduce la comunicazione a un puro servizio tecnico. Per gli operatori del mondo della traduzione e dell’interpretariato appare invece evidente che la ricchezza culturale del mondo – per fortuna – non si annullerà in semplici e banali soluzioni dettate da esigenze economiche o da certi poteri: molti Paesi sono già entrati nell’arena economica a livello mondiale rivelando un entusiasmo, una vitalità e un ritmo di crescita vertiginosi e portando avanti le loro lingue come un vessillo, lingue di cui noi operatori saremo felici di occuparci nelle nostre attività.